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sabato 26 novembre 2011

Cellulite: terapia fisica-Cellulitis and physical activity

CHE COSA È?
La cellulite è un'affezione cutanea che prende origine dalla compresenza di molteplici fattori altamente soggettivi. A differenza di quanto si credeva alcuni anni fa, la cellulite non è costituita da localizzati depositi adiposi, la cellulite è infatti causata da un processo infiammatorio a carico del tessuto adiposo sottocutaneo, infiammazione che interessa in larga parte anche piccoli vasi sanguigni e linfatici, strutture che una volta colpiti diventano attori fondamentali del processo di sviluppo della cellulite dato che sono i principali strumenti di deflusso dei liquidi in eccesso. L'impossibilità di drenare efficacemente i liquidi interstiziali fra le cellule adipose esalta il processo infiammatorio ed il conseguente sviluppo della cellulite.
Il processo infiammatorio della cellulite è stato suddiviso in diversi gradi di sviluppo che generalmente appaiono con l'aggravarsi dell'inestetismo. Al primo grado troviamo la cellulite edematosa, meglio conosciuta come "Buccia d'arancia", seguono poi la, cellulite fibrosa e l'ultimo stadio; la cellulite sclerotica, caratterizata da evidenti deformità cutanee, ipersensibilità e dolore.
Allo stato normale il derma e i tessuti che lo sostengono (pannicolo adiposo e strato muscolare) sono in uno stato di equilibrio fisiologico, metabolico e circolatorio che presuppone un reticolo micro-circolatorio, artero-venoso e linfatico perfettamente funzionante e uno strato adiposo sottocutaneo ben vascolarizzato, senza eccessi di accumulo, problemi trofici o fibrosi reattiva.



Tutti gli elementi che compongono i differenti strati cutanei sono in stretta relazione, realizzando delle unità tissutali e micro-circolatorie che sono legate sia sul piano anatomo-funzionale che chimico-metabolico.
La cosiddetta cellulite, il cui vero nome è panniculopatia edemato – fibro -  sclerotica (P.E.F.S.), deriva dal un'alterazione del derma e dell'ipoderma; in condizioni ottimali, le cellule adipose (adipociti) normalmente presenti nel tessuto sottocutaneo funzionano da riserva di energia per l'organismo, che brucia grassi ogniqualvolta abbia necessità di combustibile.
In caso di stasi del circolo venoso questa "riserva" diventa difficile da utilizzare, si accumula fino a comprimere i capillari sanguigni, già fragili, che iniziano a trasudare plasma dalle loro pareti divenute porose.
Il plasma si infiltra fra le cellule, con il tempo provoca un' infiammazione del tessuto adiposo con formazione di fibrosi dei tessuti sottocutanei: i capillari vengono ulteriormente compressi e il drenaggio dei liquidi in eccesso si fa sempre più difficile. Si innesca quindi un "circolo vizioso" che autoalimenta questa patologia, perché di vera e propria patologia si tratta, anche se spesso ci si limita al suo significato di banale inestetismo.

Il processo infiammatorio che porta alla comparsa della cellulite prende origine sulle cellule del tesssuto adiposo; gli adipociti cellule altamente ricche di glicogeno e che come tutte le cellule necessitano di mantenere attivi i collegamenti interstiziali per lo scambio di fluidi. Le cellule infatti necessitano di essere rifornite continuamente di fluidi contenenti soluti nutritivi e al contempo devono poter liberarsi dagli scarti metabolici prodotti durante le funzioni vitali. L'ipoderma (strato profondo della cute) dove risiede il tessuto adiposo è altamente vascolarizzato con una rete di capillari venosi e linfatici atti a mantenere una costante mediazione degli scambi fisiologici. L'equilibrio che regola gli scambi è molto delicato, bastano infatti delle leggere alterazioni fisiologiche per rallentare il processo di scambio, in tal caso i liquidi permangono a contatto con i capillari irritandoli e facendogli perdere tonicità, il ristagno di liquidi porta ad un'infiammazione anche delle cellule adipose che non sono più adeguatamente irrorate dai capillari linfatici e veonsi. E' l'inizio della cellulite! I liquidi in eccesso forniscono alla pelle un aspetto molle con conseguente calo della tonicità ed elasticità, la cellulite inizia a comparire con la pelle molle e piccoli edemi localizzati.

L'evoluzione della cellulite

I liquidi in eccesso penetrano fra le cellule adipose distianzandole l'una dall'altra, così facendo le cellule perdono la capacità di svolgere efficacemente le proprie funzioni metaboliche, le cellule adipose si ingrossano e vanno a comprimere le fibre di collagene del tessuto connettivo, provocando le classiche scabrosità affioranti in pelle tipiche della cellulite. L'isolamento delle cellule adipose non permette a queste di essere raggiunte dal sangue pulito e al contempo non riesce ad espellere i liquidi di scarto ricchi di tossine, si instaura un circolo vizioso che causa un aggravarsi della cellulite, le tossine libere vengono infatti assorbite da altre cellule peggiorando la situazione progressivamente. L'alterazione delle fibre di collagene, l'indurimento dei capillari e la formazione di edemi divengono visibili in pelle con la classica "Buccia d'arancia". Gli stadi successivi della cellulite compaiono quando le cellule di collagene cominciano ad ammassarsi divenendo spesse ed indurite, le fibre elastiche e di collagene pian piano possono imprigionare il grasso all'interno di noduli, prende così forma alla "cellulite sclerotica".


ATTIVITÀ FISICA A PREVALENTE IMPEGNO ORGANICO (AEROBICA)

Certamente l'attività di durata (aerobica) è la più indicata in quanto attiva per lungo tempo l'apparato cardiocircolatorio e respiratorio, favorendo la circolazione sanguigna periferica e in particolare la microcircolazione a livello tessutale e cellulare delle regioni muscolari impegnate.
Può essere realizzata utilizzando diversi mezzi sia in casa, in palestra o all'aperto: corsa a piedi su terreno o su tapis roulant, step, bicicletta o cyclette, vogatore, sci di fondo, nuoto, ecc. Cambia il mezzo utilizzato ma non la metodologia che va applicata. Ovviamente il mezzo scelto deve mobilizzare prioritariamente le regioni colpite dalla cellulite.

Prima di iniziare un qualsiasi programma di attività fisica è sempre opportuno sottoporsi ad una accurata visita medica. Inoltre è necessario munirsi diabbigliamento e attrezzature adeguate.
Infine:
- Programmare 3 esercitazioni settimanali (non meno di 2).
- Regolare lo sforzo fisico tra il 60-70% della propria massima frequenza cardiaca (numero di pulsazioni al minuto). Utilizzando questa frequenza si da anche modo all'organismo di utilizzare a scopo energetico una miscela di zuccheri e grassi, mentre a velocità superiori la fonte energetica è data quasi esclusivamente dagli zuccheri.
  L'intensità di lavoro che non va comunque oltrepassata è quella che permette di dialogare con un partner senza affanno, ovvero non va superata la soglia di piacevole affaticamento che prelude alla stanchezza.

Calcolo della Massima Frequenza Cardiaca
e della Frequenza Cardiaca Consigliata
M.F.C. = 220 - età (in anni)
Esempio
- età 40 anni
- massima frequenza cardiaca: 220 - 40 = 180
- 60-70% di 180 = 108-126 (F.C.C.)
Attualmente viene preferita la formula di Hirofumi Tanaka:
208 - 70% dell'età in anni

- Prima di iniziare una qualsiasi attività è necessario dedicare qualche minuto al riscaldamento generale, eseguendo semplici esercizi non impegnativi (flessioni, estensioni, slanci, circonduzioni dei vari segmenti del corpo).
- Fare in modo che tra l'inizio dell'attività e l'ultimo pasto siano trascorse almeno 2,5-3 ore. La digestione richiede un notevole afflusso sanguigno, afflusso che verrebbe sottratto dai muscoli agli organi digestivi.
- Ogni esercitazione, indipendentemente dall'attività prescelta, dovrà svolgersi per un tempo prestabilito (mediamente 30-40 minuti) con alternanza tra ritmo molto blando e intensità prevista (es.: se si è scelta la corsa a piedi o il tapis roulant, alternare momenti di passo a momenti di corsa).

World cup Volley 2011: Italy destroy Usa

Battuti gli Stati Uniti, l'Italia continua la sua marcia verso la qualificazione a Londra 2012.
Il match è davvero combattuto e forse per questo rende ancor più gustosa la vittoria. 
Coach Berruto, per questo appuntamento importantissimo, schiera Michal Lasko in diagonale col nostro regista Dragan Travica, i due posto 4 Cristian Savani e Ivan Zaytsev e al centro Alessandro Fei e Gigi Mastrangelo, con Andrea Giovi libero.


Le prime fasi di gioco sono punto a punto, poi gli States allungano a +3 sul 10-7 e l'Italia riagguanta il pari a 11. I nostri avversari provano ad andare via di nuovo e toccano il 18-15, ma Savani e compagni riequilibrano il punteggio sul 20-20. Parte così un'estenuante fase di punto a punto, dove gli USA avranno sette set point e l'Italia addirittura dieci prima di riuscire a chiudere sul 41-39 grazie a una parallela di capitan Savani che lascia qualche dubbio sulla riga intorno alla quale la palla cade.
Nel secondo set Parodi, che aveva rimpiazzato Zaytsev, resta nel sestetto titolare e l'Italia rimane in palla, complice anche la prova di forza del parziale precedente. E' di nuovo punto a punto fino al 10-10, poi i ragazzi di Berruto vanno avanti regolari, mentre gli States infilano una serie di errori. Il massimo vantaggio arriva col primo tempo di Fox Fei che sigla il 19-15, poi Stanley e compagnia si riprendono e riescono a tornare a -1 sul 21-20 azzurro. Salmon, tuttavia, sbaglia la battuta e rilancia l'Italia, che arriva al 24-21 grazie a un gran muro di Lasko. Chiude poi Parodi con un mani-out sul 25-22.
Nel terzo set, confermato ancora Savani, anche se ha un problema a una mano; questa volta sono gli statunitensi a cercare di scappare. E' 10-7 per i nostri avversari e gli azzurri ricuciono lentamente lo strappo fino al 13-13. La nuova accelerata porta gli USA avanti 18-15 e i nostri si rifanno sotto fino al 21-22. Sul 23-21 avversario, Thornton sbaglia la battuta e si ritorna a sperare, ma ci pensa Stanley con due punti consecutivi a chiudere il parziale 25-22 in proprio favore.
Nel quarto set Birarelli va a sostituire Fei e subito gli States sono aggressivi: vanno sopra di 4 sul 9-5 e restano avanti fino al 13-13. Dopo una fase di equilibrio, il break definitivo italiano arriva sul 19-17 e i due punti di divario rimangono inalterati fino al 22-20, quando gli Stati Uniti pasticciano tra loro e ci regalano il 23° punto Un muro "a sangue" di Mastrangelo consegna alla nostra squadra quattro match point: è il nostro regista Travica a sfruttare il secondo con un attacco sul secondo tocco che spiazza la difesa a stelle e strisce per il 25-21.


E' bravissimo il nostro palleggiatore: in quattro set colleziona ben 7 punti (4 attacchi, 2 muri e un ace). Il migliore del match, giustamente, è però Michal Lasko, autore di una bellissima partita che gli frutta un intero set da solo: fa infatti 25 punti (20 attacchi, 3 ace e 2 muri).
Buona la partita di Savani soprattutto nel primo set (20 punti), nonostante l'infortunio, mentre non brillano in alternanza Zaytsev (5) e Parodi (4). Benissimo Mastrangelo, che dopo un avvio diesel riesce finalmente a carburare e mette a segno 12 punti.
Dall'altra parte il trascinatore è sicuramente capitan Clayton Stanley, che ci fa soffrire parecchio col suo attacco in parallela e porta a casa 22 punti.
Dopo queste due ore e otto minuti di gioco (45' vanno via solo per il primo set), la squadra è stanca, ma sicuramente felice. Adesso è fondamentale avere il giorno di riposo per recuperare energie e trasferirsi da Kumamoto ad Hamamatsu: il prossimo impegno è infatti domenica e non sarà dei più semplici. Ci aspetta Cuba, reduce dalla vittoria per 3-1 con la Serbia.



"I thought tonight both teams sided out well; both offenses sided out a high number," U.S. Head Coach Alan Knipe (Huntington Beach, Calif.) said. "The first game was a marathon. Both teams had opportunities, and we’ll look back at opportunities we had and see what we could do better."

The second set saw Italy take the first significant lead at 14-11. The U.S. pulled to within one at 22-21, but Italy held it off for the win. In the third set it was the U.S. that took the significant lead at 18-15. Italy pulled to within one at 22-21, but the U.S. attack held off the Europeans. The U.S. lead 8-4 at the first TTO of the fourth set and continued to lead 13-10 before Italy tied it at 13-13. The score was still tied at 17-17 before Italy scored twice to pull away.
Opposite and team captain Clay Stanley (Honolulu, Hawaii) led the U.S. with 22 points on 20 attacks, one block and one ace. Outside hitter Matt Anderson (West Seneca, N.Y.) added 20 points on 18 kills, one block and one ace. Outside hitter Reid Priddy (Richmond, Va.) totaled 19 points on 16 spikes, two blocks and one ace.
The U.S. out-attacked Italy, 68-65 and the teams were tied on aces 5-5. But Italy won the blocking battle 13-8 and also scored 30 points off U.S. errors while committing 26.
"I think this game was won on blocking and Italy blocked better," Stanley said. "Italy got some good serves, got in a couple of aces. We relaxed a little too much on coverage of hitters, and those little points cost us the game."
The first set was the highest scoring set in World Cup history as the U.S. took set point at 24-23 before Italy came back to score on two kills to take its first set point. The U.S. would fight off two more before taking its second advantage at 28-27. The U.S. took four more set points. But at 33-32, Italy scored on a kill and ace to regain the advantage. Team USA fought Italy off five more times before Michal Lasko got a kill off the block and Cristian Savani followed with an attack to give Italy the 41-39 victory.

sabato 19 novembre 2011

Il ruolo dell'ossido d'azoto nell'adattamento umano all'ipossia.

L’ossido di azoto (NO), impropriamente chiamato ossido nitrico, è una specie chimica reattiva di natura radicalica centrata sull’azoto. Considerato per decenni un gas altamente inquinante – responsabile, tra l’altro, del cosiddetto “buco dell’ozono” – solo in epoca molto recente esso è stato individuato come uno dei più potenti mediatori biochimici che gli organismi viventi producono al loro interno al fine di controllare molte delle loro funzioni .
L’NO è una sostanza abbastanza ubiquitaria prodotta a partire dall’amminoacido L-arginina in una reazione multi-step catalizzata dall’enzima ossido nitrico sintetasi. Quest’ultimo esiste in numerose isoforme, alcune costitutive (cellule endoteliali, piastrine, sistema nervoso) ed altre inducibili (macrofagi, leucociti polimorfonucleati, cellule endoteliali, cellule muscolari lisce, epatociti), e ciò dà ragione dell’ampia distribuzione dei siti di produzione dell’importante mediatore nel nostro organismo. Nei sistemi biologici, l’NO agisce come un importante messaggero intra- ed inter-cellulare regolando numerosissime funzioni, in primis quella dell’endotelio vascolare. Infatti, in seguito ad adeguata stimolazione (meccanica o chimica), le cellule endoteliali producono l’NO che, in parte, diffonde nel compartimento ematico, riducendo l’aggregabilità delle piastrine e l’adesività dei leucociti alle pareti dei vasi sanguigni, e, in parte, raggiunge la sottostante muscolatura liscia vascolare inducendone il rilasciamento. I conseguenti effetti anti-aggreganti, anti-infiammatori ed anti-ipertensivi sono ritenuti di grande importanza nella prevenzione dell’aterosclerosi. D’altronde, i famosi nitriti esteri e la stessa nitroglicerina sublinguale (Carvasin®), ampiamente usati come anti-anginosi decenni prima della “scoperta” dell’NO, sono, in realtà, dei “donatori” di questo mediatore ed è relativamente recente la messa a punto delle nitro-aspirine, derivati “nitrati” dell’acido acetilsalicilico in grado di rilasciare NO a livello periferico. 
Rimanendo nell’ambito della farmacologia cardiovascolare, giova anche sottolineare che il sildenafil (Viagra®) agisce “prolungando” la durata d’azione dell’NO a livello dei corpi cavernosi del pene, contribuendo in questo modo a migliorare la funzione erettile, variamente  compromessa nell’impotenza maschile. Oltre all’effetto primario sull’endotelio, all’NO è riconosciuto un ruolo determinante di mediatore biochimico in numerose funzioni, a livello cerebrale (es. controllo dell’apprendimento e della memoria), gastrointestinale (modulazione delle secrezioni e della motilità), respiratorio (modulazione del tono della muscolatura liscia bronchiale), renale (autoregolazione del flusso ematico), e così via. All’NO, in quanto radicale, è attribuita  un’importante funzione di difesa nei confronti delle infezioni batteriche e, probabilmente, nel controllo della crescita dei tumori . A questo proposito occorre aggiungere, comunque, che condizioni di aumentato stress ossidativo – es. eccessiva produzione di anione superossido – comportano la conversione dell’NO in perossinitrito, una forma radicalica alla quale è legata la tossicità del mediatore primario .
Dopo che ha agito, l’NO viene trasformato in una serie di derivati, quali i nitriti ed i nitrati, che si accumulano, in funzione della quantità del mediatore primario prodotto, nel sangue ed in altri fluidi extracellulari per poi essere definitivamente allontanati dall’organismo attraverso le urine. Infatti, numerosi studi sperimentali e clinici hanno documentato che i livelli plasmatici ed urinari di nitriti/nitrati correlano abbastanza bene con la produzione “endogena” di NO, anche dopo particolari terapie.  
Poiché la ridotta biodisponibilità dell’NO (figura 1) è ritenuta responsabile dell’insorgenza e/o dell’aggravamento di numerose quanto diffuse e temibili malattie, quali l’ipertensione arteriosa e l’aterosclerosi , numerosi studi hanno valutato la possibilità di aumentare la sintesi endogena del mediatore centrato sull’azoto  attraverso l’integrazione alimentare.
  
                                             Fig. 1
SPINGERE il corpo al limite delle proprie possibilità non per sport, ma per scoprire nuovi trattamenti in grado di migliorare la vita dei pazienti in condizioni critiche. È questa la missione del  Case Medicine 1, l'unità speciale della London's Global University dedicata allo studio della medicina e della fisiologia in ambienti estremi, come l'alta montagna, i fondali oceanici e  - perché no -  anche lo spazio. 
Gli ultimi risultati pubblicati da questi 'avventurieri' della salute riguardano un esperimento che si è tenuto nella primavera del 2007 sul cucuzzolo del Monte Everest. Lo studio, pubblicato su Scientific Reports 2, suggerisce l'opportunità di un nuovo tipo di approccio per i pazienti che sperimentano una carenza di ossigeno. La stessa condizione (denominata ipossia) con cui hanno dovuto fare i conti gli alpinisti e gli scalatori della spedizione Caudwell Xtreme Everest 3 e che, in nome della scienza, si sono fatti fare il primo check-up della storia sopra gli 8.400 metri.Lo studio si è basato sulle analisi del sangue e altri reperti medici collezionati durante le varie fasi della scalata. All'impresa hanno partecipato 198 escursionisti e 24 alpinisti, tra cui numerosi medici e scienziati. Tutti rientravano nella vasta categoria del 'lowlander', vale a dire persone nate e cresciute a quote relativamente basse e dunque non geneticamente selezionate per sopravvivere a quelle altitudini da capogiro. Grazie alle misurazioni effettuate dai colleghi della University of Warwick 4, i ricercatori sono giunti alla conclusione che il grande protagonista del processo che consente al corpo umano di adattarsi alla carenza di ossigeno è un composto chimico chiamato ossido di azoto. L'idea, dunque, è che i malati colpiti da ipossia possano trarre grandi benefici da farmaci e procedure - in parte già esistenti - in grado di incentivare la produzione di questo composto."L'ipossia è una condizione che affligge moltissime persone che hanno problemi ai polmoni, al cuore, al sistema circolatorio o ai globuli rossi", ha spiegato Denny Levett, vicedirettrice di Caudwell Xtreme Everest. L'ossigeno, infatti, forma circa il 21% dell'aria che respiriamo ed è la parte essenziale per la vita umana. Ciascuna delle milioni di cellule che compongono il nostro corpo ha un continuo bisogno di ossigeno per generare energia e tenersi viva. "Una mancanza di ossigeno provoca il deterioramento e, alla lunga, la morte delle cellule", ha aggiunto la ricercatrice. "Essendo il risultato di diverse malattie e malfunzionamenti, l'ipossia riguarda un numero enorme di malati, sia negli ospedali che a casa. Finora i modi più efficaci per trattarla sono stati fondamentalmente due: l'amministrazione di ossigeno tramite maschere e l'utilizzo di ventilatori meccanici, un processo delicato che deve essere gestito da personale specializzato all'interno di un'unità di terapia intensiva".Quando si sale ad alta quota, invece, è la disponibilità di ossigeno nell'aria a essere fortemente ridotta. "L'ossigeno diventa sempre più scarso durante l'ascesa, fino a livelli che rendono quasi impossibile la vita", ha spiegato ancora Levett. "Per questo gli scalatori hanno bisogno di partite extra di ossigeno, un po' come i malati. La cosa bella, però, è che se si affronta la salita in modo graduale il nostro corpo è capace di adattarsi all'ipossia in un processo conosciuto come acclimatamento".Per la prima volta, dunque, i ricercatori del CASE Medicine e della University of Warwick sono riusciti a comprendere meglio i cambiamenti molecolari che sottendono questo fenomeno di adattamento. L'osservazione più rilevante riguarda appunto l'ossido di azoto, un composto prodotto virtualmente da ogni cellula del corpo e deputato a diverse funzioni tra cui la regolazione della pressione sanguigna, l'apprendimento e la formazione della memoria e la protezione dalle malattie infettive. A quanto pare nelle persone che si sono avventurate sull'Everest, la produzione e l'attività dell'ossido di azoto hanno subìto una vera e propria impennata che ha provocato cambiamenti nel flusso sanguigno anche nei vasi più piccoli. Consisterebbe in questo, dunque, uno dei segreti dell'acclimatamento."I risultati sono coerenti con altri studi effettuati sugli abitanti dell'Altopiano del Tibet, dai quali era emerso come queste persone abbiano livelli di ossido di azoto superiori rispetto a chi vive ad altitudini più basse", ha detto Martin Feelisch, professore di Medicina Sperimentale e Biologia Integrativa alla Warwick Medical School e responsabile del lavoro analitico. L'insieme di queste rilevazioni ha convinto i ricercatori britannici del fatto che la somministrazione di farmaci e trattamenti in grado di favorire la produzione di questo composto possa rappresentare una strada più promettente e meno invasiva verso il recupero e il miglioramento della qualità della vita dei pazienti in condizioni critiche."Con la missione Caudwell Xtreme Everest siamo riusciti a dimostrare che la risposta naturale dell'organismo alla scarsità di ossigeno consiste nell'aumento della produzione di ossido di azoto", ha concluso Feelisch. "Negli anni che verranno, potremmo assistere all'avvento di una nuova era per quel che riguarda i trattamenti di emergenza e le cure intensive". Per gli esperti del Case Medicine, infine, si tratta di un'ulteriore conferma del fatto che studiare le reazioni del corpo umano in ambienti estremi può essere - oltre che un po' folle - estremamente utile. Al di là del progetto Everest, infatti, il gruppo è impegnato in programmi che esplorano virtualmente tutti gli aspetti del possibile. Ci sono progetti in collaborazione con la Nasa per indagare le interazioni geni-ambiente e lo sviluppo di nuove tecnologie mediche, così come programmi di ricerca iperbarica, subacquea, aerea e a temperature estreme. Tutto nella convinzione che "lo studio dei sistemi umani portati vicino al punto di rottura possa fare la differenza nella nostra capacità di capire e aiutare i malati critici".
INDICE DEI LINK
1. Case Medicine — http://www.case-medicine.co.uk/
2. Scientific Reports — http://www.nature.com/srep/index.html
3. Caudwell Xtreme Everest — http://www.xtreme-everest.co.uk/
4. University of Warwick — http://www2.warwick.ac.uk/

The role of nitrogen oxides in human adaptation to hypoxiaLowland residents adapt to the reduced oxygen availability at high altitude through a process known as acclimatisation, but the molecular changes underpinning these functional alterations are not well understood. Using an integrated biochemical/whole-body physiology approach we here show that plasma biomarkers of NO production (nitrite, nitrate) and activity (cGMP) are elevated on acclimatisation to high altitude while S-nitrosothiols are initially consumed, suggesting multiple nitrogen oxides contribute to improve hypoxia tolerance by enhancing NO availability. Unexpectedly, oxygen cost of exercise and mechanical efficiency remain unchanged with ascent while microvascular blood flow correlates inversely with nitrite. Our results suggest that NO is an integral part of the human physiological response to hypoxia. These findings may be of relevance not only to healthy subjects exposed to high altitude but also to patients in whom oxygen availability is limited through disease affecting the heart, lung or vasculature, and to the field of developmental biology.Nitric oxide (NO) is a ubiquitous signalling molecule produced through the metabolism of L-arginine by nitric oxide synthases (NOS). Its formation is crucial for the control of blood pressure, blood flow, and other vital bodily functions. Amongst these, it is an important antioxidant, and a regulator of intermediary metabolism and cellular energy production by mitochondria. NO availability may be reduced at altitude since i) its enzymatic production depends on the availability of oxygen and ii) exposure to hypoxia results in a paradoxical increase in the production of reactive oxygen species (in particular when combined with physical activity) leading to NO inactivation. This is consistent with the notion that hypoxia leads to an increase in the expression of different NOS isoforms via upregulation of HIF-1α, a master transcriptional regulator of oxygen homeostasis. However, the situation is complex inasmuch as HIF-1α stability is controlled not only by the availability of oxygen but also that of NO. Moreover, recent studies suggest an alternative pathway of NO generation that involves sequential reduction of nitrate (NO3) to nitrite (NO2) and further to NO, and which is inhibited by oxygen. Perhaps for these reasons, Tibetan highlanders exhibit elevated levels of circulating NO products (including plasma nitrate and nitrite) when compared to lowlanders. The combination of high NO production and low haemoglobin concentration in this population is associated with increased forearm blood flow. Intriguingly, lowlanders adapting to high altitude exhibitreduced blood flow in the microcirculation (arterioles, capillaries, and venules less than 100 µm in diameter). Whether or not this phenomenon is modulated by endogenous NO or its metabolites is unknown. Recent reports of reduced oxygen cost of exercise and improved mitochondrial efficiency following dietary nitrate supplementation at sea-level support the notion that high nitrite/nitrate levels in Tibetans might be associated with beneficial metabolic adaptation to hypoxia. Thus, enhanced NO production may not be unique to highlanders but part of the integral human physiological response to hypoxia. We hypothesized that NO availability would be increased in lowland residents acclimatizing to altitude and that this would be associated with (i) reduced oxygen cost and improved efficiency of oxygen utilization during exercise and (ii) increased microcirculatory blood flow....
(www.nature.com/srep/2011/111006/srep00109/full/srep00109.html)

venerdì 18 novembre 2011

All'Italia la world cup 2011

Le azzurre di Barbolini conquistano la World CupSi chiude nel migliore dei modi la World Cup giapponese per la nazionale italiana femminile che in virtu' della vittoria del Giappone contro gli Stati Uniti per 3-0 (29-27, 25-23, 25-18) nell'ultimo match di giornata, supera proprio le americane in classifica e si aggiudica la Coppa. Un successo ampiamente meritato quello delle ragazze di Barbolini, arrivato dopo la vittoria con il Kenya che ha chiuso un percorso di 10 vittorie in 11 incontri per un totale di 28 punti. Numeri ancora piu' impressionanti se si sommano agli undici successi ottenuti nell'edizione precedente, sempre vinta dalle azzurre. Classifica Finale: Italia 28, Stati Uniti e Cina 26, Giappone 24, Brasile 21, Germania 20, Serbia 18, Repubblica Dominicana 12, Corea del Sud 11, Argentina 9, Algeria 3, Kenya 0.


La sconfitta subita ieri per mano delle fortissime americane (che si erano imposte col punteggio di 3 a 1) aveva portato gli Stati Uniti in testa alla classifica alla penultima giornata del torneo. Un risultato amarissimo per il sestetto guidato da Massimo Barbolini, che si vedeva superato ad appena un passo dalla meta.
Oggi, nella mattinata italiana, quello che sembrava impossibile è accaduto. Non certo chel'Italia passeggiasse sul quasi dilettantesco Kenya (liquidato in tre parziali: 25-6, 25-10, 25-17), quanto che la corazzata made in Usa fosse travolta per 3 a 0 dal Giappone. Ai fini delle azzurre, era sufficiente che perdessero due set. Ecco quindi la classifica finale: Italia 28 , Stati Uniti e Cina 26. 


Andando nel particolare, grande World Cup per Carolina Costagrande, la schiacciatrice italo-argentina è il punto fermo della nazionale italiana, non sbaglia un colpo, regala momenti di grandissima pallavolo davanti a quello che fra due settimane diventerà il suo pubblico, visto che inizierà una nuova avventura in Cina, sotto la rete del Guangdong Hengda, MVP del torneo.
Eleonora Lo Bianco sta al volley azzurro come l’acqua sta al mulino. Una similitudine pesante, ma che di certo non regala nulla alla talentuosissima bandiera della nostra nazionale, festeggia nel miglior modo possibile le sue 500 presenze in nazionale, 32 primavere e non sentirle, si spera di vederla ancora palleggiare a lungo.
Degno di nota l’esordio da titolare di Lucia Bosetti, una ragazza di soli 22 anni che non sente affatto la pressione della manifestazione, nel ruolo di opposto in ricezione da sicurezza e fiducia a tutto il sestetto, segnatevi il suo nome.

giovedì 17 novembre 2011

Volley:Italia-Usa 1-3

Dopo la matematica conquista della qualificazione alle olimpiade dopo la vittoria di ieri contro la Germania,l'Italia perde contro la corazzata Usa e può quasi sire addio alla World Cup.
Partita di grande intensità: gli Stati Uniti spingono sulla battuta per scardinare la ricezione azzurra e mettere in crisi l'attacco italiano, ma Lo Bianco e compagne resistono bene, si trovano sotto anche due-tre punti, ma restano attaccate alla partita, grazie a un buon lavoro del muro e a un attacco pesante. Ma quando il set si avvicina al 25° punto gli Usa mettono la freccia con Hooker e la lunga centrale Akinradewo.
Secondo set monologo degli Usa Con una Grandissima Hooker probabilmente la giocatrice migliore del torneo...fenomenale in attacco....
Terzo Set: Inizio da brividi per l'Italia: 0-4, l'Italia non ci sta, Barbolini cambia Lucia con Caterina Bosetti. L'Italia ha un sussulto d'orgoglio, resta dietro, ma non si fa travolgere.
L'Italia tira fuori dalle tasche di questa lunghissima trasferta orientale tutto quello che ha ancora: e con una grande difesa ottiene un break di vantaggio. Si esalta l'orgoglio italiano che non vuole mollare nulla e grazie agli attacchi di Carolina Costagrande e ai muri di Simona Gioli vince il parziale;
Quarto Set:L'Italia parte in vantaggio con Caterina Bosetti ancora in campo,le azzurre mantengono un doppio break, ma poi la battuta americana fa la differenza. Gioli e Costagrande lottano su ogni pallone, Del Core prova a difendere l'impossibile, ma la forza delle americane viene fuori nel momento decisivo.
L'Italia ha una piccola speranza di vincere ancora la manifestazione dipenderà da Cina-Germania e Giappone-Usa con le 3 squadre che si giocano l'ultimo pass olimpico...
Comunque sia grande risultato delle nostre partite senza alcuna preparazione dopo l'ultima giornata di campionato e capaci di rifarsi prontamente dopo un Europeo sotto tono...
Ora in marcia verso unamedaglia Olimpica!

Tirocinio Formativo Attivo (TFA)


Che ne sarà di noi...
La notizia – se confermata – è di quelle che getterà nel panico le migliaia di precari che attendono con trepidazione l’avvio dei famosi TFA (Tirocino Formativi Attivi) per conseguire l’abilitazione all’insegnamento.
Si tratta – in realtà – di indiscrezioni, ma che se confermate vedrebbero un taglio netto ai numeri dei posti disponibili. Questi i numeri possibili: 2.487 posti da assegnare allaprimaria4.626 saranno gli aspiranti docenti che verranno formati per la secondaria di primo grado e per le superiori appena 5.659 posti: una cifra pari a meno il 30% di quella inizialmente indicata.
A questo punto si che anche il costo dei corsi potrebbe essere particolarmente alto.
Il Tirocinio Formativo Attivo (TFA), nel modo in cui verrà strutturato, sarà un vero e proprio inganno per tutti, così come è ingannevole il fatto stesso di annunciarlo continuamente senza poi riuscire a realizzarlo. Le sue conseguenze negative per il sistema scolastico si avvertiranno negli anni a venire mentre il disastroso impatto che avrà su tutti i docenti precari della scuola sarà imminente.
La situazione dell’accesso alla professione docente, già abbastanza ingarbugliato, sarà infatti arricchito da una nuova categoria di aspiranti. Si tratterà appunto del cospicuo numero di nuovi abilitati che, però, non avranno diritto al posto di lavoro, poiché il TFA è pensato solo per la formazione. 
Non si sa, infatti,  neanche in quale graduatoria questi dovranno essere inseriti, in quanto non esiste attualmente un canale di reclutamento definito per legge.
Avremo così un’altra categoria o sottocategoria di precari.
E’ bene ricordare che esistono oggi in Italia almeno tre categorie di precari:
1.     i precari abilitati, inseriti a pieno titolo nelle Graduatorie ad Esaurimento,
2.     i precari abilitati con corsi straordinari e abilitazioni europee (fuori da queste Graduatorie),
3.     i precari non abilitati.
Domani ad essi si aggiungeranno i precari abilitati con il TFA.
Tutti a litigare per spartirsi le briciole di un lavoro che viene sbandierato, tolto agli uni e dato agli altri, nella confusione più generale, a danno della continuità didattica e della qualità dell’insegnamento.
La scelta di aprire nuovi percorsi di abilitazione in una situazione di incertezza, senza la definizione completa dell’attività procedurale del reclutamento del personale docente, è solo una riposta limitata che, come tutte quelle date riguardo alle  questioni del precariato della scuola, rischia di rivelarsi controproducente dove, in genere,  le legittime aspettative di tutti corrono il serio pericolo di essere disattese. 
Si finisce così per mettere l’uno contro l’altro i lavoratori di uno dei settori più importanti del Paese, fondamentale per il futuro delle nuove generazioni.
Non si può infatti rendere sempre più precario il lavoro docente e pretendere poi di avere in cambio professionalità e passione.
In un momento di crisi economica come quello attuale, la scelta di investire nel sistema della scuola e della formazione rappresenta un controsenso rispetto alle scelte operate dal Governo italiano fin’ora il quale, col pretesto di premiare il merito e razionalizzare il settore, ha solo tagliato risorse e negato i diritti sia degli insegnanti che degli alunni.
La ricetta più semplice, a nostro avviso, sarebbe stata la seguente:
1.     assorbire il precariato già esistente nelle GaE,
2.     formare e selezionare esclusivamente i precari non abilitati con lungo servizio di insegnamento,  per valorizzare la loro esperienza e dare finalmente stabilità e dignità a queste persone,
3.     infine, aprire gradualmente nuove possibilità ai neolaureati nel quadro di una rivisitazione complessiva del Reclutamento, volta soprattutto a semplificare il sistema.
Sarebbe stato semplice,  ma questo Governo preferisce complicare i problemi invece di risolverli, pur di danneggiare i lavoratori precari, sfruttandoli solamente, e cedere ad oscure manovre di spartizione di numeri con i potentati universitari, sbandierandoli falsamente come futuri posti di lavoro.
Questa è la verità che non può essere smentita e questo è ciò che devono sapere tutti i giovani che sperano in questo lavoro e che rischiano di essere, ancora una volta, vergognosamente illusi.



Disponibilità di ciascuna università
http://www.tirocinioformativoattivo.it/notizie-dalle-universita/esaminiamo-le-disponibilita-di-ciascuna-universita
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domenica 13 novembre 2011

Frequenza cardiaca

Si definisce frequenza cardiaca il numero di battiti che il cuore compie in un minuto o bpm (battiti per minuto). La frequenza varia in modo naturale a seconda sia dell’età sia dell’attività che si sta svolgendo, sia dell’allenamento fisico.

Esistono poi condizioni patologiche che aumentano o diminuiscono la frequenza dei battiti del cuore con conseguenze più o meno gravi.

Rispetto alle diverse età, sono da considerare normali i seguenti valori:

da 80 a 180 bpm per i neonati;
da 80 a 100 bpm per i bambini;
da 70 a 120 bpm per gli adolescenti;
da 60 a 90 bpm per gli adulti (con una minima differenza tra l’uomo e la donna),
La frequenza varia anche a seconda del momento della giornata (di notte ad esempio si abbassa, mentre si alza dopo mangiato), ma anche uno stress, un’emozione improvvisa e soprattutto l’attività fisica causano un aumento dei battiti del tutto fisiologico.

Per questo i valori andrebbero misurati a riposo: in questo caso, in media la frequenza cardiaca di un uomo è di circa 70 bpm e di circa 75 bpm nelle donne (fanno eccezione gli sportivi ben allenati che hanno quasi sempre un ritmo più basso), mentre nei neonati, la frequenza a riposo è di circa 130-150 bpm.

Quando la frequenza cardiaca scende al di sotto dei valori minimi considerati normali si parla di bradicardia, mentre si definisce tachicardia la situazione nella quale si riscontrano valori al di sopra di quelli massimi per ciascuna età.

Con un'attività fisica regolare e costante il cuore diventa più resistente e più efficiente. In più abbassa la frequenza cardiaca, cioé il polso (numero di battiti al minuto, bpm): la frequenza a riposo è di 60-70 battiti al minuto: ma con l'allenamento il numero delle pulsazioni diminuisce (bradicardia) che si traduce in una riduzione del rischio di sviluppare malattie cardizovascolari. Proprio un importante studio presentato alll'ultimo congresso europeo di cardiologia (Monaco, settembre 2008) – lo studio BEAUTIFUL – dimostra che la frequenza elevata è un indice prognostico negativo: “in pazienti con problemi cardiaci e con frequenza superiore ai 70 bpm aumenta il rischio di infarto del 37 per cento e il rischio di morte cardiovascolare del 30 per cento”.
Mantenendo la frequenza cardiaca a riposo di sotto di 70 bpm si guadagna in salute e anche in longevità. Il numero di battiti al minuto rappresentano infatti un vero orologio biologico: più elevata è la frequenza, minore è l'aspettativa di vita.


Monaco - Le evidenze scientifiche trovano conferma nei successi di alcuni grandi sportivi. Alex Schawazer, oro olimpico nei 50 km di marcia, 24 anni, 28 battiti al minuto.

"Tutta la mia famiglia presenta una frequenza cardiaca piuttosto bassa - spiega il campione - certo io, anche grazie all'allenamento, sono riuscito a ridurla a livelli davvero eccezionali". Quello di Alex e' infatti quasi un record: la media, in persone sane e' di 60-70 battiti. Fausto Coppi, "il campionissimo", ne aveva 40. Nel mondo animale la frequenza cardiaca sembra il vero "orologio biologico": piu' e' elevata, minore e' l'aspettativa di vita. Un ratto o un colibri' nell'arco della loro esistenza presentano gli stessi battiti cardiaci di una balena o di una tartaruga. Come se nascessero con un numero preordinato. C'e' chi li consuma subito (colibri' e ratto) e muore presto, c'e' chi ci mette piu' tempo (tartaruga e balena) e vive piu' a lungo.

L'uomo di oggi fa eccezione a questa regola: con i suoi 60 b/m (in media) dovrebbe morire intorno ai 20-30 anni. L'evoluzione della specie, l'elevato grado nella scala gerarchica biologica, ma soprattutto i progressi della civilizzazione e della medicina, hanno permesso di superare questo limite, ma rimane sempre una correlazione ancestrale tra frequenza cardiaca e durata dell'esistenza. Il campione delle ultime olimpiadi di Pechino e' stato intervistato in occasione del congresso europeo di cardiologia, in svolgimento a Monaco: Alex, sapevi che avere una bassa frequenza cardiaca "allunga" la vita? "No, questo proprio non lo sapevo. Dal punto di vista sportivo ovviamente ero a conoscenza che questa caratteristica mi permette un vantaggio competitivo rispetto ai miei avversari, soprattutto in una disciplina di resistenza come la mia. Ma non avevo mai pensato potesse essere anche un'alleata della mia salute. Ma come ci si sente con un cuore come il tuo? A 28 battiti sto benissimo, ho invece grosse difficolta' quando raggiungo il valore massimo, che per me e' 190. A questa soglia soffro parecchio e riesco a mantenere questi ritmi solo per brevissimi periodi. Sei noto per essere una buona forchetta: dieta mediterranea o continentale? "Mangio qualsiasi cosa mi si metta davanti! Certo pero' la cucina italiana ha una marcia in piu'". Poi il campione si rivolge ai giovani con un consiglio. "Fate sport perche' fa bene, vi aiuta a tenere sotto controllo fattori di rischio come la frequenza, ma soprattutto perche' e' bello. Anche i giovani dovrebbero ritrovare il gusto della fatica, che credo si sia un po' perso. L'atletica ad esempio e' molto varia, ognuno - a qualsiasi eta' - pu' trovare la disciplina che fa per lui e divertirsi. L'importante e' mettersi in gioco".

GRANDI ATLETI
Alex Schawazer, oro olimpico nei 50 km di marcia: 28 al minuto.
Fausto Coppim, ciclista: 42 al minuto.
Miguel Indurain, ciclista: 31 al minuto.
Marcello De Dorigo, fondista: 26 battiti al minuto.

giovedì 10 novembre 2011

Osteoporosi ed esercizio fisico

OSTEOPOROSIy

E’ una malattia caratterizzata dalla perdita progressiva di massa ossea, con
assottigliamento e riduzione di numero delle trabecole dell’ossospongioso ed assottigliamento dell’osso corticale; ne consegue un aumentato rischio di fratture ossee.
La malattia può instaurarsi lentamente, decorrendo asintomatica e rendendosi
manifesta con il realizzarsi della frattura, anche spontanea. Determina la riduzione d’altezza del soggetto e l’aggravamento delle  normali curve del rachide.



È chiamata “Epidemia Silenziosa” 
Perché quando compaiono i primi sintomi spesso la malattia è già in fase avanzata.
La perdita di densità ossea comincia, silente e progressiva, dopo i 50 anniColpisce soprattutto le donne (1 su 3 dopo la menopausa), ma anche gli uomini (1 su 5 dopo i 60 anni). L'allungamento della vita ha fatto crescere sempre più il numero di persone con questo problema.Se dopo i 75 anni l'incidenza nella donna è del 43 per cento e nell'uomo è del 20, oltre gli 85 anni interessa addirittura il 60 per cento delle donne e il 40 degli uomini.
Le previsioni future sono allarmanti: nel mondo le fratture di femore per osteoporosi sono state circa 1.660.000 nel 1990 e saranno 6.260.000 nel 2050, con cifre da vertigine per quanto riguarda i costi ospedaliere e della riabilitazione
La crescita della massa ossea, sino al raggiungimento del cosiddetto "picco di massa ossea", ossia del patrimonio individuale di contenuto minerale osseo, è un processo naturale che raggiunge l'acme attorno ai 30-35 anni di età.
I fattori genetici condizionano per circa il 70-80% il raggiungimento e mantenimento del picco di massa ossea, per il resto rivestono notevole importanza altri fattori, legati allo stile di vita, come un'alimentazione ricca di calcio ed una costante attività fisica.
Quest'ultima, in particolare, costituisce un fattore determinante nel promuovere l'entità del picco di massa ossea ed anche nel rallentare la perdita che si verifica dopo la menopausa.
Numerosi studi hanno dimostrato rapporti, statisticamente significativi, tra l'attività fisica ed un ridotto rischio di fratture da osteoporosi. Tale attività risulta essere determinante in età giovanile, nel periodo in cui il tessuto osseo risponde attivamente alle sollecitazioni.


L'osso è estremamente dinamico ed in continua evoluzione. Avvengono infatti costantemente due processi, uno di lenta neodeposizione e l'altro, più rapido, di riassorbimento. E' così consentito:
un perenne rimodellamento della struttura macro e microscopica;
uno scambio con tutti i tessuti dell'organismo attraverso il mezzo di trasporto garantito dal sangue.
gli osteoblasti, che sintetizzano la matrice organica e favoriscono la deposizione minerale, e che si trovano direttamente appoggiati all'interno delle superfici ossee in accrescimento come singolo strato di cellule cubiche;
gli osteociti, che derivano dagli osteoblasti, e che sono inclusi nel tessuto mineralizzato entro le lacune ossee, collegati tra loro da un'estesa maglia di ramificazioni; apparentemente inattivi, probabilmente partecipano al rilascio in circolo del calcio;
gli osteoclasti, che hanno il compito di riassorbire osso, e che sono grosse cellule macrofagiche multinucleate che si trovano in corrispondenza delle cosiddette lacune di Howship da esse stesse create nel processo di riassorbimento.
L’osteoporosi può colpire ogni età (picco di incidenza è nell’età matura e anziana) e può essere primaria o secondaria (Ministero della Salute)

L’osteoporosi primaria è a sua volta classificata in 2 tipi:
• tipo 1 - osteoporosi postmenopausale - associata alla ridotta secrezione di estrogeni - riscontrabile nel 5-29% delle donne dopo la menopausa - compare entro i primi 20 anni dall’inizio della menopausa - interessa prevalentemente l'osso trabecolare con effetti particolarmente evidenti a livello della colonna vertebrale, dove il turn-over osseo é elevato - le fratture vertebrali rappresentano la situazione clinica più comune in questi casi.
• tipo 2 - osteoporosi senile
- può colpire entrambi i sessi dopo i 70 anni di età - può interessare fino al 6% della popolazione anziana - la perdita di massa ossea interessa sia l'osso trabecolare che quello corticale - le fratture possono interessare non solo la colonna vertebrale, ma anche le ossa lunghe, il bacino e altre sedi - le tipiche complicanze sono rappresentate dalle fratture del collo femorale, dell'estremità distale del radio, dell'omero.
L'osteoporosi secondaria è associata a: 
- ipogonadismo e malattie endocrino-metaboliche
- malattie neoplastiche e terapie correlate
- alcune malattie croniche (IRA, BPCO, ICAC)
- le connettivopatie e le malattie infiammatorie croniche 
- malattie gastrointestinali (Crohn, celiachia) - deficit nutrizionali, abuso alcolico cronico
- uso cronico di farmaci (corticosteroidi, immunosoppressori, ormoni tiroidei, anticonvulsivanti)
- immobilità prolungata 

ATTIVITA' FISICA


La risposta dello scheletro all'esercizio fisico è maggiore in quel distretto in cui è massimo lo stress meccanico (braccio dominante del tennista 30% di massa ossea in più rispetto all'arto contro laterale). Un altro fattore che agisce favorevolmente sulla densità ossea è la iterazione dell'esercizio. Ogni attività fisica che determina "stress meccanici" ripetitivi su una determinata parte dello scheletro, tende ad aumentare la densità ossea in quella zona.Un allenamento aerobico che comprenda movimenti continui di due o più arti è sempre associato ad un incremento della densità ossea.
L'esrcizio fisico, perciò, associato ad un normale livello di estrogeni, in una donna di età compresa tra 20 e 30 anni, può essere determinante nel ridurre il rischio di osteoporosi in età evanzata.
In questa fase della vita, l'attività fisica ha come obiettivo principale quello di incrementare la massa ossea. In tal senso sono indicati esercizi di rafforzamento dei muscoli degli arti e della muscolatura dorsale; esercizi di stress meccanico attraverso l'utilizzo della forza di gravità, il peso corporeo e di piccoli - medi pesi.
L'allenamento fisico deve essere sempre graduale, regolare e personalizzato. Graduale poiché la massima intensità, sia per i carichi di lavoro sia per le difficoltà dell'esercizio, deve essere raggiunta attraverso un progressivo potenziamento delle capacità fisiche. Regolare in quanto, se condotto con cadenze discontinue, non determina quella stimolazione costante nel tempo in grado di produrre effetti positivi dell'omeostasi ossea. Infine, l'allenamento fisico deve essere personalizzato, poiché le soglie di stimolazione meccanica variano in ogni soggetto in rapporto con l'età, abilità fisica e capacità scheletrica di sopportazione del carico.
Nell'età post-menopausale, molti studi hanno messo in evidenza come l'adozione di un programma di attività fisica sia in grado di frenare la perdita di tessuto osseo nelle donne in menopausa.
Un'attività aerobica, come una passeggiata veloce di 20'-30' , due volte al dì, oltre a ridurre i rischi a livello cardiovascolare, presenta notevoli effetti sul tessuto osseo: incremento della BMD nelle donne pre-menopausali mentre, nelle donne in post- menopausa si è dimostrato in grado di impedire la riduzione della BMD.
(Trattato di fisiologia medica; Guyton )



L’esercizio fisico offre due vantaggi che nessun’altra terapia di mantenimento della massa ossea permette:
  1. un’efficacia nel conservare la salute fisica che va ben al di là del solo problema osteoporosi,
  2. un’ azione preventiva nel creare, nell’età giovanile una struttura ossea satura ed efficiente e, soprattutto nell’età anziana, un ineguagliabile effetto sulla prevenzione dell’evento ultimo che si vuole assolutamente evitare: la frattura.

un’attività fisica volta a combattere e prevenire l’osteoporosi dovrebbe, quindi, prevedere l’interazione ed integrazione di due tipi di programmi:
  1. RF : Joint Reaction Forces, protocolli di esercizi che inducono stress alla struttura scheletrica attraverso forze di reazione articolare, quali ad esempio il sollevamento di manubri e bilancieri o l’uso di macchine isotoniche. Queste attività hanno un’influenza positiva soprattutto sul tessuto osseo dove si applica la tensione applicata dalla contrazione muscolare e, quindi, un’azione distrettuale prevalentemente concentrata nel punto di inserzione muscolo-tendineo.
  2. GRF : Ground Reaction Forces, protocolli di lavoro che si basano sull’azione svolta dalla forza di gravità, comprendenti esercizi quali balzi, salti, step ed attività di resistenza antigravitarie come la corsa.  Questi esercizi hanno un’influenza più generale e determinano un aumento di mineralizzazione sull’intera struttura scheletrica, anche se si sono evidenziati i maggior incrementi a livello della regione prossimale del femore e dell’anca (tra l’altro due tra le zone più a rischio di osteoporosi, motivo in più per applicare questo tipo di protocolli di lavoro).
In realtà, in ogni attività sportiva ad alto impatto, spesso i problemi sorgono, più che per l’elevata intensità dei carichi, per la tecnica di esecuzione inadeguata e le posture sbagliate assunte durante la realizzazione degli esercizi.


E' richiesto un esercizio che abbia un'intensità superiore alle normali sollecitazioni. 
La stimolazione meccanica deve superare una certa forza di tensione, geneticamente predeterminata, per divenire osteogenica.Affinché l'osso possa avere una risposta adattativa positiva richiede stimolazioni meccaniche dinamiche anziché statiche.L'attività dinamica oltre a produrre stress osteogenici intermittenti sull'osso, aumenta la secrezione ritmica di ormoni anabolici che favoriscono la risposta adattativa dell'osso stesso.La risposta osteogenica (mineralizzazione ossea) è proporzionale alla frequenza dello stimolo meccanico. La risposta adattiva dell'osso è maggiore se si propongono 2 sessioni di esercizio brevi, intervallate nell'arco della giornata. Infatti, l'osso richiede un minimo di 6-8 ore di riposo per rispondere in modo ottimale ad un carico dinamico che superi la soglia.La soglia di stimolazione per il mantenimento della struttura ossea è il prodotto tra la frequenza dell'esercizio e la sua intensità. L'osso viene "mantenuto" sia con stimolazioni meccaniche meno frequenti ad alta intensità, che con stimolazioni più frequenti ad una minore intensità.La risposta adattiva dell'osso richiede una particolare modalità di carico; le forze che lo colpiscono devono variare in orientamento ed intensità rispetto a quelle che normalmente agiscono sull'osso.La risposta adattiva dell'osso richiede un'abbondante disponibilità di nutrientienergetici. Una disponibilità inadeguata comporterebbe effetti negativi sugli ormoni con azione anabolica sull'osso.Affinché l'osso possa avere una risposta adattiva positiva all'esercizio, necessita di un'abbondante disponibilità di calcio e colecalciferolo. Questo principio è particolarmente importante prima della pubertà e dopo la menopausa.